Presentati.
Mi
chiamo Giuseppe Cozzo e sono uno studente universitario di 23 anni. Vivo nel
sud Italia, sono molto legato alla famiglia e mi piace scrivere, al punto da
volerne fare una professione.
Come è nata la passione per la scrittura?
Con la passione per le storie.
L’idea diffusa e profondamente sbagliata è che qualcuno possa prima decidere di
scrivere qualcosa, e poi impegnarsi a creare una trama, ma non è così. Scrivere
significa mettere su carta qualcosa che è già dentro di sé. Sedersi alla
scrivania senza sapere quali tasti digitare è assurdo.
Qual è il tuo stile?
Scrivo in modo didascalico,
utilizzando frasi brevi e una punteggiatura esatta e rigida. Le descrizioni
sono molto ridotte, perché ritengo che il carattere dei personaggi e i dialoghi
siano elementi più importanti. Credo che questa convinzione derivi dal mio
interesse verso il cinema e la televisione, e non solo nei confronti della
letteratura.
Il genere letterario che preferisci di più?
Nasco come lettore di gialli.
Arthur Conan Doyle, Ellery Queen e Rex Stout, per fare alcuni nomi. Ma non
credo che ragionare per genere sia ancora indicativo, nella nostra epoca. Per
essere tale, un buon libro non ha bisogno di essere veicolato seguendo un
sentiero rigido. Come mi è già capitato di dire in passato, benché sia giusto e
normale valutare anche la copertina, il titolo e la sinossi, è impossibile
giudicare un libro, prima di averne letto le pagine iniziali.
Quale genere letterario non ti piace?
La qualità di un libro non
dipende dal genere, ma è da ricercare in altri fattori. La trama gioca un ruolo
fondamentale, e lo stile dell’autore è forse ancora più importante, fin quasi a
prevalere perfino sui temi trattati. Trovo che apprezzare tutte o nessuna delle
opere di uno scrittore sia la cosa più naturale del mondo. Tuttavia, pur non
essendo spaventato dalla voluminosità dei romanzi storici, sono – con le dovute
eccezioni – spesso annoiato dai loro contenuti.
Come nascono le tue storie?
Tutte le storie nascono da
quello che è rimasto dentro di noi, in modo più o meno consapevole, tra quello
che abbiamo vissuto. La fantasia non crea nulla dal nulla, ma può destrutturare
e riassemblare quello che cade sotto i nostri sensi. È così che si ottengono storie
inedite e non autobiografiche.
In genere ti immedesimi nei tuoi personaggi?
Si è costretti a farlo, o i
protagonisti sarebbero poco credibili. Ma è l’autore ad entrare nel
personaggio, e non il contrario. Si dice che gli scrittori si rivolgano prima di
tutto a sé stessi, ma lascio ad altri questa analisi, che non mi trova
particolarmente d’accordo. Alcuni lettori sono ossessionati dalle analogie tra
la vita dell’autore e le storie che scrive, ma è un argomento che mi trova
piuttosto freddo.
Come è nato “Chelsea & James”, il tuo romanzo
d’esordio?
È nato dal desiderio di voler
affrontare alcuni temi importanti, quali la relatività della morale e la
soggettività della giustizia. È sostanzialmente un thriller, ma contiene
sfumature appartenenti ad altri generi. Le etichette non mi piacciono, perché
le trovo più limitanti che indicative.
Stai lavorando a qualche altro libro?
Sì, come ho già annunciato al
momento della pubblicazione di “Chelsea & James”. Sono al lavoro sul mio
prossimo romanzo, che verrà pubblicato entro la fine del 2015. Sarà un romanzo
molto diverso, sotto alcuni aspetti, perché sarà più lungo e costituirà il
primo volume di una saga. Ma il tema trattato sarà ugualmente il senso della
vita, anche se da un angolo prospettico opposto. E il mio stile verrà
rispettato.
Il tuo sogno?
Desidero diventare uno
scrittore stabile, permettendo ai miei lettori di sperare fondatamente nella
pubblicazione di uno o due miei romanzi all’anno. E questo è un obiettivo che
posso raggiungere solo grazie al sostegno di una casa editrice, di cui finora
ho dovuto fare a meno.
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