Oggi ho il piacere di presentare la prima tappa del blogtour de "L'egoismo del respiro" di Giada Strapparava, opera edita da Lettere Animate.
Ecco qualche informazione :)
Titolo: L’egoismo del respiro.
Autore: Giada
Strapparava.
Editore: Lettere Animate.
Genere: Thriller
psicologico.
Prezzo Ebook:
1,99€
Prezzo cartaceo:
21,00€ ( 17,85€ Mondadori e Feltrinelli.)
Pagine:
328
Data di uscita: 18 Marzo 2015
Sinossi:
Cuoco in una tavola calda a Sacramento, ottimo amico per i
colleghi e quasi un figlio per i titolari. Una vita normale e soddisfacente se
non fosse per l'innato istinto omicida e un personale senso di giustizia:
Colton Miller è un'anima selvaggia, che ama uccidere i peccatori e che si
diverte a cercare lo sgomento negli occhi delle sue vittime, decifrandone gli
ultimi inutili pensieri; un'ombra tormentata dagli orribili e confusi ricordi
d'infanzia, in cui la violenza tocca gli apici dell'inconscio e si mischia
all'angoscia più profonda. Ma il passato non è l'unica cosa da cui scappare.
C'è qualcos'altro, lì fuori: una minaccia. Un'entità che inizia a tormentarlo;
qualcuno disposto a schiacciare chiunque si metta sulla propria strada. In
tutto questo chi è la vittima e chi il carnefice? Ma soprattutto, dove finisce
l'agonia e inizia il piacere?!
Biografia: Giada Strapparava nasce il 21 Giugno del 1994, in provincia
di Verona. È una grande appassionata di criminologia, mentalismo, medicina
legale e naturopatia. L'egoismo del
respiro è il suo romanzo d'esordio.
TAPPA ESTRATTO
Capitolo 1
Prediligo
la pioggia. Le gocce rimbalzano sull'asfalto, ricoprendo come lacrime i vetri e
rincorrendosi con la più totale indecisione dai palazzi. Molte volte vorrei
essere così: sfuggente e impetuoso, ma mi limito a dar sfogo solo ai miei
desideri più intimi e indiscreti.
Colton
Miller era il mio nome, avevo trentaquattro anni e mi trovavo a Sacramento: una
città statunitense, capoluogo della contea e capitale della California.
Sì,
mi trovavo, perché in realtà non avevo una dimora fissa. Non rappresentavo il
classico individuo
che tornava a casa la sera, cullato dal profumo di un pasto
caldo e dall'affetto di una famiglia calorosa, che lo attendeva sulla soglia
della porta, per riunirsi in quel sacro nucleo d’amore e bisogno. No, io ero
racchiuso nella mia sfera d'odio e presunzione. Credo che nessuno possa capire
il mio egocentrismo, ma cosa posso aspettarmi da un ammasso di lobotomizzati,
che non fanno altro che seguire uno schema prefissato: crescere
responsabilizzati, lavorare e creare profitto. Andare in chiesa e sposarsi con
una donna che per di più non è in grado di cucinare una Maryland Crab Soup
come
si deve e sfornare una schiera di rampolli, che non sono altro che il prodotto
dell'ignoranza e la ripetizione dell'uguaglianza della massa sociale.
Non
sono sposato, per molto tempo ho avuto solo “relazioni” con puttane trovate nei
pub dei centri più malfamati e nei quartieri più squallidi di Sacramento. In
realtà amavo le relazioni con loro, duravano giusto il tempo di assecondare e
cibare il mio desiderio.
Erano
solo carne.
Carne
malleabile. Carne fatta a perfezione di donna.
Mi
piaceva conoscerle, o meglio, afferrare la loro più profonda fiducia. Molte
volte offrivo un bicchierino di Whisky o di Mint Julep, non mi scomodavo troppo
però; in fin dei conti dovevano solo caldeggiare i miei istinti, non di più.
Quando
quelle donne avevano accontentato le mie esigenze, allora le eliminavo, le
uccidevo lentamente quasi per ascoltare l'ultimo sussurro, una preghiera di
supplico a quella fine non aspettata. Devo riconoscere però che era più
eccitante sentire le loro vene scoppiarmi tra le mani mentre le soffocavo
gradualmente, che non nello svolgimento del loro lavoro. La donna rappresenta
per me solo la figura della più perfetta incarnazione della frivolezza e
ipocrisia umana, non ha nulla da offrirmi, sono io che decido quanti minuti in
più dare alla sua inutile esistenza.
Sono
sieropositivo: ho l'AIDS.
Ne
ero venuto a conoscenza qualche anno prima. Da allora, cercai di avere rapporti
sessuali con più donne possibili. Non volevo morire da solo, non volevo essere
egoista e morire corroso da questo virus senza far conoscere la sofferenza agli
altri.
In
un anno la mia residenza cambiava più volte, un giorno mi trovavo in una comoda
e avvolgente roulotte, il giorno dopo in una camera d'albergo situata nei
paraggi dell'autostrada di Fresno, affondata nel traffico. Cambiai identità una
volta, forse due. Quel giorno mi chiamavo Colton Miller, il giorno dopo potevo
chiamarmi in un altro modo.
Mi
esaltava il mio essere nessuno, mi
garantiva la mia totale incolumità. Mi sentivo come una di quelle foglie dorate
d'autunno: precipitavo sul terreno umido provocando un soffice rumore, mi lasciavo
trasportare dal dolce respiro del vento. Non conoscevo la mia meta e nemmeno la
mia origine. Ero nato per vagare come una foglia nei marciapiedi, nelle strade
e nei parchi, aspettando solamente la neve.
Capitolo 36
Mi
trovavo dentro a un tugurio, un qualcosa di fortemente suggestivo e
agghiacciante. Mi alzai da terra, ma le mie mani toccarono qualcosa di viscido
e umido. Sangue. C’era sangue ovunque, ma la luce era soffusa e il liquido
sembrava nero. Mi pulii le mani sulla maglia, ma anch’essa era tutta bagnata di
sangue... il mio.
Al
centro della maglia si allargava una macchia sempre più scura e appiccicaticcia
e piano a piano si
estendeva anche ai lati. Ero ferito. Mi guardai attorno.
Mi
domandai che diavolo di posto fosse e dove mi trovassi. Arrivò un uomo in
lontananza: camminava piano e provocava uno strano rumore. A mano a mano che
avanzava capii che quel rumore erano catene corrose, che gli erano state legate
alle caviglie. Camminava zoppo a passi incerti e leggeri, il braccio teso e la
testa piegata.
«Chi
sei?» Urlai. Non ricevetti risposta e l’uomo si avvicinò ancor di più. Da
quella distanza notai che la pelle stava marcendo, il tessuto presentava il
classico deterioramento da peste: la cute si stava decomponendo e aveva dei grossi
buchi di tessuto nero sparsi qua e là.
«Chi
diavolo sei?!» Urlai più forte indietreggiando sul freddo pavimento umido.
L’uomo emetteva degli strani versi, come dei lamenti infiniti che lo
tormentavano da una vita. Si avvicinò ancor di più.
Il
braccio sinistro gli era stato squartato: tendini e vene vibravano e si
muovevano a ogni suo flebile passo e il tessuto formava una cavità ormai vuota
e secca. Si avvicinò ancora. Il naso gli era stato tagliato e le labbra le
erano state tolte a morsi. Presentava ancora lembi di carne, ma erano
penzolanti e molto imprecisi. Alzò una mano verso di me.
«Porca
puttana! Chi diavolo sei e cosa vuoi da me?!» Urlai con tutta la voce che
avevo, ma sembrava non gli importasse. Stavo delirando. Ormai ci distanziavano
solo pochi passi e lo vidi ancora meglio. Notai dei vermi uscirgli dalla
lacerazioni marce del tessuto sulla gambe, si cibavano e si nutrivano della
carne putrefatta e si torcevano su se stessi.
Stavo
per vomitare. Ormai eravamo vicini, troppo vicini per scappare e la ferita al
mio addome mi doleva troppo per alzarmi. L’uomo si avvicinò di più. Mi annusò
ripetutamente. L’odore che emanava era simile al marciume da carne avariata. Mi
fissò, gli occhi erano iniettati di un rosso sangue, mi puntò l’indice: alla punta
vedevo l’osso che spuntava e spingeva sull’ultimo lembo di carne rimasto,
sentivo il calore avariato del suo dito alla base della mia guancia. Spalancò
la bocca: la lingua era nera.
Avevo
paura e sudavo freddo. Non sapevo né chi fosse quell’uomo, né dov’ero. La cosa
più assurda è che non sapevo se avesse bisogno d’aiuto o se era lui il
carnefice. Dalla bocca uscì del gas maleodoranti e un fiotto di liquido giallo,
poi parlò. La voce era arrochita, sembrava che non parlasse da anni. «Noah
Pettison?»
Spalancai
gli occhi e trattenni il fiato per qualche secondo. Chi era?! E come faceva a
sapere il mio vero nome?
«S-sì…»
Facevo fatica a emettere parole controllate. Ero terrorizzato, ma presi
coraggio e continuai a parlare. «Come fai a sapere chi sono? Chi sei e cosa
vuoi da me?!»
Piegò
la testa prima a sinistra poi a destra. Poi la rimise dritta e spalancò di
nuovo la bocca. Il viso si compose in un’opera ossuta e scheletrica, si
avvicinò ancor di più. L’alito mi spostò i capelli. «Sono la morte.»
Seguite le altre tappe del blogtour!
L'egoismo del respiro blogtour
dal 23 novembre al 2 dicembre
Durata blogtour
Le
tappe saranno online nella settimana dal 23 novembre
al 2 dicembre. Tuttavia vi daremo tempo per partecipare fino al 6
dicembre compreso. Le partecipazioni dal 7 dicembre 00.01 non saranno prese in
considerazione.
Tappe
Regolamento
A
blogtour finito faremo un elenco di tutti i partecipanti e assegneremo loro un numero,
da 1 andando avanti progressivamente. Questo servirà per l'estrazione casuale
tramite il sito random.org.
Cosa dovete fare per partecipare?
–
diventare lettori fissi dei blog
partecipanti;
–
commentare tutte le tappe
Premio &
Vincitore
Ci
sarà un vincitore, che si porterà a casa una copia cartacea de “L'egoismo
del respiro”. Una volta estratto tramite il sito Random.org
controlleremo che abbia rispettato tutte le semplici regole. Dopodiché
l'autrice lo contatterà per accordarsi per l'invio del libro.
NB. per l'invio del cartaceo sarà necessario
fornire all'autrice un indirizzo. Pertanto si astenga dal partecipare chi non
vuole fornirlo.