sabato 5 settembre 2015

Intervista a Giuseppe Cozzo

Presentati.
Mi chiamo Giuseppe Cozzo e sono uno studente universitario di 23 anni. Vivo nel sud Italia, sono molto legato alla famiglia e mi piace scrivere, al punto da volerne fare una professione.

Come è nata la passione per la scrittura?
Con la passione per le storie. L’idea diffusa e profondamente sbagliata è che qualcuno possa prima decidere di scrivere qualcosa, e poi impegnarsi a creare una trama, ma non è così. Scrivere significa mettere su carta qualcosa che è già dentro di sé. Sedersi alla scrivania senza sapere quali tasti digitare è assurdo.

Qual è il tuo stile?
Scrivo in modo didascalico, utilizzando frasi brevi e una punteggiatura esatta e rigida. Le descrizioni sono molto ridotte, perché ritengo che il carattere dei personaggi e i dialoghi siano elementi più importanti. Credo che questa convinzione derivi dal mio interesse verso il cinema e la televisione, e non solo nei confronti della letteratura.

Il genere letterario che preferisci di più?
Nasco come lettore di gialli. Arthur Conan Doyle, Ellery Queen e Rex Stout, per fare alcuni nomi. Ma non credo che ragionare per genere sia ancora indicativo, nella nostra epoca. Per essere tale, un buon libro non ha bisogno di essere veicolato seguendo un sentiero rigido. Come mi è già capitato di dire in passato, benché sia giusto e normale valutare anche la copertina, il titolo e la sinossi, è impossibile giudicare un libro, prima di averne letto le pagine iniziali.

Quale genere letterario non ti piace?
La qualità di un libro non dipende dal genere, ma è da ricercare in altri fattori. La trama gioca un ruolo fondamentale, e lo stile dell’autore è forse ancora più importante, fin quasi a prevalere perfino sui temi trattati. Trovo che apprezzare tutte o nessuna delle opere di uno scrittore sia la cosa più naturale del mondo. Tuttavia, pur non essendo spaventato dalla voluminosità dei romanzi storici, sono – con le dovute eccezioni – spesso annoiato dai loro contenuti.

Come nascono le tue storie?
Tutte le storie nascono da quello che è rimasto dentro di noi, in modo più o meno consapevole, tra quello che abbiamo vissuto. La fantasia non crea nulla dal nulla, ma può destrutturare e riassemblare quello che cade sotto i nostri sensi. È così che si ottengono storie inedite e non autobiografiche.

In genere ti immedesimi nei tuoi personaggi?
Si è costretti a farlo, o i protagonisti sarebbero poco credibili. Ma è l’autore ad entrare nel personaggio, e non il contrario. Si dice che gli scrittori si rivolgano prima di tutto a sé stessi, ma lascio ad altri questa analisi, che non mi trova particolarmente d’accordo. Alcuni lettori sono ossessionati dalle analogie tra la vita dell’autore e le storie che scrive, ma è un argomento che mi trova piuttosto freddo.

Come è nato “Chelsea & James”, il tuo romanzo d’esordio?
È nato dal desiderio di voler affrontare alcuni temi importanti, quali la relatività della morale e la soggettività della giustizia. È sostanzialmente un thriller, ma contiene sfumature appartenenti ad altri generi. Le etichette non mi piacciono, perché le trovo più limitanti che indicative.



Stai lavorando a qualche altro libro?
Sì, come ho già annunciato al momento della pubblicazione di “Chelsea & James”. Sono al lavoro sul mio prossimo romanzo, che verrà pubblicato entro la fine del 2015. Sarà un romanzo molto diverso, sotto alcuni aspetti, perché sarà più lungo e costituirà il primo volume di una saga. Ma il tema trattato sarà ugualmente il senso della vita, anche se da un angolo prospettico opposto. E il mio stile verrà rispettato.

Il tuo sogno?

Desidero diventare uno scrittore stabile, permettendo ai miei lettori di sperare fondatamente nella pubblicazione di uno o due miei romanzi all’anno. E questo è un obiettivo che posso raggiungere solo grazie al sostegno di una casa editrice, di cui finora ho dovuto fare a meno.

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